Racconti


Anni '70/'90, non solo basket di serie A: il Charlie Brown Team Basket

Racconto di Roberto Pecorelli.

Negli anni '70 dietro le due squadre principali di Milano, Simmenthal  e Mobilquattro vi erano una miriade di piccole società che partecipavano ai campionati minori, affrontando mille problemi. La cronica carenza di campi adeguati, la mancanza di fondi, la scarsità in termini numerici di arbitri e di conseguenza un’organizzazione dei campionati piuttosto approssimativa erano il pane quotidiano per coloro che con grande entusiasmo e sacrifici giocavano in Milano e provincia.

Io ebbi l’onore e la fortuna di fondare una di queste società ed è questa la storia che vi voglio raccontare, ben consapevole che oggi quello che feci in quegli anni pioneristici per il basket italiano non sarebbe più possibile.

Finite le scuole superiori e trovato finalmente un lavoro stabile continuavo a giocare settimanalmente con gli amici di sempre del mio quartiere al campetto di via Gattamelata e/o a quello del Lido in piazzale Lotto. Poi iniziammo a frequentare la palestra Cappelli Sforza prenotandola privatamente, quando libera, e coinvolgendo altri appassionati di basket.

Nel 1976 mi recai presso gli uffici della Federazione Italia Pallacanestro e chiesi cosa dovevo fare per iscrivere una squadra al campionato di prima divisione. Gli amici mi presero per matto ma poi quando capirono che facevo sul serio mi aiutarono nel progetto. Nacque cosi il Charlie Brown Team Basket!

Avevamo la palestra un’ora e trenta ogni settimana. Ci allenavamo oppure giocavamo le partite casalinghe. Talvolta per fare qualche allenamento in più si organizzavano amichevoli con altre squadre, una volta da noi un’altra da loro. La divisa di gioco era molto essenziale: canotta uguale per tutti con i numeri cuciti a mano dalle mamme e/o dalle compagne. Calzoncini, tute, calzettoni e scarpe erano spesso diversi fra loro. Ognuno usava ciò che aveva.

Ricordo la prima partita. Ci presentammo emozionatissimi sul campo della ricca Auso Siemens. Loro avevano tutto ciò che a noi mancava: allenatore, accompagnatore, addetto agli arbitri, massaggiatore, tanti palloni, divise perfette, ufficiali di campo! Perdemmo 110 a 57!! Tornammo a casa comunque felici, avevamo realizzato un sogno ed iniziato un’avventura che sarebbe durata vent’anni.

Finimmo quel primo campionato con dodici sconfitte e due vittorie. Pagammo dazio per la nostra inesperienza ma anche per la nostra politica, il nostro modo di gestire la squadra. Da noi giocavano tutti, anche i più scarsi avevano un minutaggio garantito!

Ci auto finanziavamo. Ricordo che un mio compagno talvolta mi pagava la sua quota palestra con i tickets restaurant

Negli anni successivi, fra sconfitte (tante) e vittorie (poche) riuscimmo finalmente ad avere anche pantaloncini, calzettoni e sopra maglie tutte uguali! Acquistammo anche un numero discreto di palloni. 

Ogni anno dovevamo fare i conti con un magro bilancio e dei costi di gestione sempre più alti. Avemmo l’opportunità di avere uno sponsor ma declinammo l’offerta per evitare condizionamenti, meglio poveri ma liberi.

Durante il campionato, spesso l’arbitro non si presentava. Un disastro, soprattutto perché era poi difficile recuperare la partita. Quindi si cercava un volontario fra il poco pubblico di amici oppure si sceglieva un giocatore per ogni squadra e, firmata la liberatoria sul referto, ci si accordava per giocare comunque la partita che veniva arbitrata dai prescelti e che poi la Federazione riteneva valida. 

Altro problema era quello degli ufficiali di campo. Io al tavolo chiedevo di compilare il referto a mia moglie Annamaria, per il cronometro alla fidanzata di uno dei compagni di squadra oppure un amico, mentre le palette dei falli se le contendevano le due mie figlie Valeria e Federica. Annamaria, se mi accompagnava, talvolta doveva fare il referto anche in trasferta perché gli avversari non avevano nessuno da mettere al tavolo.  

Si giocava su qualsiasi tipo di campo, dalle palestre come la nostra che era regolare e con i tabelloni in plexiglas a campetti più corti, in teoria non omologabili, con i classici tabelloni in legno, spesso all’aperto con il fondo in asfalto e/o cemento.

Durante il primo tempo di una partita all’improvviso si presentò il custode della nostra palestra urlando “Luigi tua moglie è in ospedale e sta partorendo….!!!”. Luigi, quel momento in campo, si mise a correre verso l’uscita. L’arbitro lo intercettò dicendogli che non poteva abbandonare la partita. Lui lo guardò e gli chiese “come ti chiami ?? Così darò il tuo nome a mio figlio……” e se ne andò…….. Se ricordo bene prese una giornata di squalifica.

Alla Cappelli Sforza si allenavano prima di noi i giovani della Mobilquattro. Una sera trovammo però la prima squadra! Riccardo Sales mi chiese di “sforare” di un quarto d’ora. Doveva provare alcuni schemi.  Non potevo certo rifiutare. Ci premiò facendoci giocare dieci minuti contro il suo quintetto base. Fu così che giocammo contro Cosmelli, Nizza & co.  

Quando ci penso mi gira ancora la testa! 

Nella mia via, a pochi passi da casa, c’era il bar “del Ciccio”, ritrovo storico della tifoseria Mobilquattro e di tanti giocatori di basket delle categorie minori. Io in quel posto “pescavo” a mani basse. Coloro che, temporaneamente, erano senza una squadra li convincevo a giocare un anno con noi, ovviamente pagando essi stessi la quota sociale.

Fu così che giocatori più che discreti, abituati a percepire un ingaggio, si trovarono a giocare in prima divisione e/o al CSI con il Charlie Brown.

Nel 1984, nel girone di andata, vincemmo un sacco di partite, tanto da portarci ad un passo dalla Promozione. Robe da matti, ero preoccupatissimo, dove avrei trovato il denaro per un torneo più importante e costoso? Verso la fine della stagione, complice le assenze dei giocatori più bravi, perdemmo le partite decisive e così restammo nel nostro “ambiente”.

La Federazione decise di creare un campionato di livello più basso, la seconda divisione. La mia squadra vi venne automaticamente iscritta. Con il passare degli anni divenne sempre più difficile per noi “sopravvivere” in un mondo che cambiava rapidamente. Incontravamo squadre giovani, agguerrite. Sugli spalti spesso c’erano i genitori dei nostri avversari, genitori che talvolta erano più giovani di noi! 

Nel 1996 giocammo l’ultima partita di campionato in sei. Quell’anno vincemmo cinque partite e ne perdemmo tredici. Io avevo 44 anni. Sciolsi la squadra, con grande tristezza.

Mi chiamò Gigio Valsecchi, responsabile della Federazione Lombarda ed anche mio collega di lavoro: “Roby ti prego ripensaci, continua….” Fu impossibile.  Non avevo più le risorse umane ed anche economiche,

L’avventura del Charlie Brown Team Basket finì, dopo 341 partite con 71 vittorie e 270 sconfitte. 

Racconto inviato e quindi riservato per il Museodelbasket-milano.it.

IMMAGINI ALLEGATE

La prima palla a due contro l’Auso Siemens, l’inizio dell'avventura del Charlie Brown Team Basket

Il primo Charlie Brown Team Basket, anno 1976 

Una formazione degli Anni 90